
Il bambino che stava per annientare un premio Nobel (e come imparare a riconoscerlo, se non vuoi che distrugga anche te).
Nell’immaginario collettivo (e sotto sotto, lo pensi anche tu), l’uomo di successo è una persona sicura di sé, nella sua attitudine, nel suo modo di parlare e di esprimersi, in generale in ogni ambito della sua vita.
Questo perché, da un lato, i media ti hanno abituato a vedere così lo stereotipo della persona talentuosa e, dall’altro, è pur vero che la sicurezza in sé stessi è un elemento fondamentale per raggiungere traguardi elevati nella propria vita.
Certo, non dico che tu non possa raggiungerli, ma a causa delle tue insicurezze, convinzioni che hai interiorizzato fin dall’infanzia, puoi faticare molto di più e spendere molto più tempo di altre persone per raggiungerli.
E questo perché? Perché, come afferma l’esperto di neuro-psichiatria infantile Hugh Missildine, ognuno di noi deve fare i conti con il bambino interiore che è in noi e che ci accompagna per tutta la vita.
Per bambino intendo la tua somma di esperienze nell’età infantile che ti hanno portato a essere ciò che in parte sei ora, nelle tue convinzioni e nel modo di vivere le tue emozioni.
Quando cresci e diventi adulto, certamente “migliori” e maturi in molti ambiti della tua vita, non fai certo i capricci o i dispetti a chi ti sta intorno…
Ma i tuoi sentimenti o modi di essere non elaborati o non compresi (anche quelli più infantili e immaturi), possono condizionarti pesantemente perfino nelle scelte più importanti della tua vita.
La paura può spingerti a fuggire, in determinate situazioni, da ciò che potrebbe renderti felice (l’acquisto di una casa, il matrimonio con la persona giusta, un’opportunità di lavoro irripetibile) o fare la scelta sbagliata, avere un atteggiamento contro-producente per la tua carriera e qualsiasi altra cosa tu possa immaginare.
Questo non succede solo alle “persone comuni”, ma anche a quelle che nella propria esistenza hanno raggiunto, con molta fatica, traguardi d’importanza storica (… e che alla fine sono persone esattamente come noi).
A tal proposito voglio raccontarti la storia di un uomo che ha segnato la storia della Medicina, Alexander Fleming, di cui forse conosci i successi, ma non i retroscena della sua vita.
Fleming è divenuto famoso per aver scoperto la penicillina, l’antenato di quello che oggi chiamiamo “antibiotico”.
Egli si rese conto che alcune muffe avevano il potere di annientare i batteri nei luoghi in cui si posavano e questo fece intuire allo scienziato quanto questa scoperta potesse essere importante.
Così continuò i suoi studi, producendo quelle colture di muffe e riuscendo a guarire “miracolosamente” alcune persone affette da infezioni.
Egli intuì che in quella muffa, “il penicillio”, c’era una sostanza dalle grandi proprietà curative che avrebbe salvato migliaia di vite, se solo fosse stato possibile estrarla e depurarla. Quella sostanza, in seguito, fu appunto chiamata dallo scienziato “penicillina”.
Ma Fleming trascorse ben 12 anni bloccato nella sua scoperta, senza poter riuscire a verificare quell’intuizione. Finché un biochimico, Chain, non lesse gli scritti di Fleming e non solo ne intuì l’importanza, ma riuscì anche a estrarre la sostanza.
Tant’è che il nostro scienziato affermò: “non andai oltre perché non disponevo dell’aiuto di un chimico”.
Com’è possibile tutto questo? Se Fleming sapeva quale fosse il problema, perché non si mobilitò per trovare un chimico?
La risposta in realtà è semplice. Alexander era nato in un contesto difficile, in cui il padre, ammalato, era morto quando lui era piccolissimo (due anni): il periodo buio e duro vissuto, lo aveva reso incapace di esprimere le sue opinioni ed emozioni.
Inoltre, essendo il figlio più piccolo in casa, si sentiva spesso offuscato dai fratelli e sorelle maggiori, credendo che in quanto tali, avessero maggiore importanza nell’esprimere le loro opinioni.
Quest’esperienza, o meglio, il bambino che Fleming era, si manifestò prepotentemente anche nella sua età adulta, quando la sua poca propensione alla parola gli impedì di convincere Almroth Wright (suo superiore al St. Mary’s Institute of Pathology and Research) dell’importanza di quella scoperta e della necessità di un chimico per portarla avanti.
La sua totale incapacità di esprimersi e di essere convincente incise sulle scoperte, ritardando così di parecchi anni i progressi nel campo.
Praticamente fu solo grazie agli studi portati avanti da Chain che Fleming divenne famoso.
Per fortuna, come puoi leggere nella sua biografia, i meriti alla fine gli furono riconosciuti al punto da ricevere il premio Nobel, ma questo avvenne soltanto successivamente.
Ora che hai letto questa storia, puoi renderti conto di quanto il tuo passato possa incidere sul tuo presente e futuro, se non sei consapevole dei tuoi meccanismi interni che hai interiorizzato nel corso del tempo.
Il bambino di Fleming, emotivamente e caratterialmente introverso, aveva tenuto prigioniero il Fleming adulto per anni, quasi fino a impedirgli di raggiungere le gratificazioni che meritava.
Immagina se quel suo lato infantile fosse stato bloccato sul nascere. Forse lo scienziato avrebbe ricevuto il premio Nobel (e sicuramente trasformando in meglio la sua vita) almeno dieci anni prima.
Ognuno di noi ha il proprio bambino che si porta dietro e, come Hugh Missildine ha evidenziato nel corso dei suoi studi, tutto nei primi anni di vita può avere un’influenza positiva o negativa sulla nostra personalità.
Soprattutto il rapporto con i genitori e, in questo caso, probabilmente anche con i fratelli o la madre, per non parlare delle difficili condizioni economiche che Fleming si trovò ad affrontare per raggiungere i suoi traguardi, dal momento che, con la morte del padre, la madre e il fratello più grande dovettero prodigarsi per mandare avanti la fattoria di famiglia.
Quanto a te… hai mai sperimentato la sensazione di sentire che il bambino che è in te stesse interferendo in situazioni cruciali della tua vita?
Quel lato emotivo o irrazionale ti ha portato a prendere decisioni affrettate, scelte sbagliate, incidenti di percorso?
Magari queste emozioni nella tua infanzia, di cui hai un ricordo più o meno preciso, sono riemerse 30 o 40 anni dopo, impedendoti finora di raggiungere la qualità di vita che desideri davvero.
Sappi che queste sensazioni non sono casuali, ma sono il frutto di ciò che hai incamerato da bambino.
Come abbiamo già visto in articoli precedenti, è come se la nostra mente di bambino venisse “scolpita” da ciò che viviamo, dalle nostre relazioni con i genitori, i coetanei e le altre importanti figure di riferimento.
Il tuo subconscio ha assorbito tutte queste informazioni, positive o negative che fossero, e oggi ti ritrovi a identificarti con quello che gli altri ti hanno detto di essere, con quello che il tuo contesto o la cultura o la società ti ha detto di essere.
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Ci sono altri mondi… anche in questo.
Dario Perlangeli