La mente umana è come un computer: agisce elaborando le informazioni che provengono dagli organi sensoriali e trasforma queste informazioni in base alle credenze derivanti da esperienze passate. Una donna gelosa, che è stata più volte tradita, di fronte al sorriso che un’altra donna rivolge al suo compagno, è certa che ci sia di mezzo un interesse ed inizia a manifestare atteggiamenti paranoici. La sua mente sta proiettando un’immagine che non corrisponde alla realtà, ma è generata dalle sue stesse paure.
Di fronte alla stessa situazione, una donna molto più sicura, che ha imparato a vivere con leggerezza, nota che il disegno che il compagno ha sul retro della maglia è davvero divertente; sorride a quella donna, riconoscendo che il suo compagno è il solito buffone.

Convinzioni, aspettative sul futuro ed esperienze passate, conducono la mente a dare un significato alla realtà, attraverso la costruzione di un modello mentale.

Come funziona il nostro cervello?

Per accedere alla realtà, il nostro cervello funziona come un proiettore che trasmette il proprio film: qualsiasi esperienza, prima di essere vissuta, viene filtrata dal modello mentale. Ne consegue che ognuno di noi ha una propria immagine della realtà che non è la realtà oggettiva, ma ciò che stiamo, appunto, proiettando.

Ora, facciamo un esempio. Sei in coda alla cassa del supermercato e, improvvisamente, due persone iniziano a discutere. La mente inizia a darsi delle spiegazioni: perché una sta cercando di scavalcare l’altra? La lunga attesa ha suscitato impazienza ed una parola, fraintesa, ha scatenato l’ira di entrambi? L’uno si è ingelosito perché l’altro ha guardato sua moglie qualche secondo di troppo?

Tutte le spiegazioni che ti stai fornendo, in fondo, non corrispondono alla realtà: sono soggettive e dipendono dal tuo “mondo interno”.

Il tuo cervello sta elaborando i dati e crea ciò che percepisce come realtà.

Se sei una persona ottimista, che focalizza l’attenzione sulle infinite possibilità, di certo, non sarai preoccupato. Se, viceversa, vivi di previsioni future fatte di sfiducia, non riesci sicuramente a valicare il tuo pessimismo e visualizzare le altre possibili interpretazioni. In entrambi i casi, però, il tuo modello mentale, che corrisponde al tuo modo di vedere le cose, crea “coerenza”. È incredibile, ma l’obiettivo della mente subconscia, non è la felicità. È la coerenza.

Cerca di ricordare le volte in cui hai discusso con qualcuno, magari perché una sua idea era in contrasto con una tua certezza, ormai ben impressa dentro di te. Bene, è facile ammettere che il più delle volte, tu abbia rifiutato o sminuito quel pensiero differente dal tuo, difendendo a tutti i costi il tuo punto di vista, senza provare a considerare altre possibili informazioni.

La mente, si alimenta delle sue stesse certezze e, attraverso i filtri, crea un’immagine precostituita della realtà.

Noi vediamo ciò che siamo.

Quelli che abbiamo analizzato sono meccanismi automatici che nascono dal bisogno di mantenere le proprie certezze: la mente ha bisogno di coerenza e di conferme per sentirsi al sicuro.

Quindi la mente di chi vuole avere ragione, è la mente di chi vive nell’insicurezza.

Ma torniamo alle proiezioni mentali.

Il primo a parlare di pensieri automatici fu Aaron T. Beck, il quale notò come determinati pensieri emessi dai suoi pazienti, fossero attivati in modo meccanico e senza alcuna consapevolezza. Iniziò a mettere in evidenza quali fossero i pensieri automatici alla base della sofferenza che il paziente manifestava nella seduta.

Constatò che attraverso questi meccanismi automatici, si elaborano e si interpretano le informazioni derivanti dal mondo esterno. Si spiega infatti perché due persone valutano uno stesso evento diversamente o la stessa persona si approccia a diversi eventi nello stesso modo.

Se ci pensi, è quello che verifichiamo continuamente nel nostro quotidiano. Il fatto è che non prestiamo attenzione a questo tipo di meccanismi. Non è ciò che accade a determinare ciò che le persone sentono, ma il modo in cui interpretano l’accaduto. Sono infatti i nostri pensieri a influenzare i comportamenti e condizionare le emozioni che proviamo. Il come interpretiamo la realtà è influenzato dal nostro umore ma, a sua volta, influenza intensamente il nostro stato emotivo. Ne consegue che il significato che diamo agli eventi diviene causa ed effetto di una rigidità mentale per cui riteniamo “vero” solo ciò che ci aspettiamo.

Secondo Beck è difficile correggere le credenze derivanti dagli schemi disfunzionali quando ci sono di mezzo le distorsioni cognitive, ovvero degli errori procedurali sistematici che la nostra mente utilizza nei processi di valutazione.

Per esempio, un tipo di distorsione cognitiva, l’astrazione selettiva, porta il soggetto a prendere in considerazione, in maniera appunto selettiva, solo un aspetto di una situazione (in accordo con le sue convinzioni), ignorando o svalutando tutti gli altri aspetti o le altre possibili interpretazioni. La mente tende a focalizzarsi solo sugli aspetti che confermano la sua visione precostituita.

Immagina che un insegnante dia una valutazione positiva ad un alunno molto insicuro, aggiungendo qualche aspetto di critica costruttiva. Filtrando le informazioni, l’alunno ha l’impressione che tutta la valutazione sia negativa. Il filtro permette alla realtà di aderire ad una convinzione di sé e del mondo che lo circonda (in questo caso negativa).

Questo concetto è spiegato bene nel secondo capitolo del nostro libro “Mente Potente”. Quando una persona esprime un suo parere, quello che l’altro interlocutore percepisce, non arriva puro; viene immediatamente filtrato da pensieri e modelli passati. Non si ascolta in modo neutrale.

Un consiglio per evitare questo ‘errore’ potrebbe essere quello di osservarsi nella prospettiva di un osservatore esterno e chiedersi: “Questa è la realtà oggettiva? O è un agglomerato di pensieri ormai consolidati nella mia mente? Sto prendendo in considerazione tutte le informazioni in mio possesso?”.

Sono meccanismi inconsci ed automatici che esistono in ognuno di noi. Imparare ad osservare tali automatismi permette di considerare più aspetti della realtà.

È utile immaginare i pensieri come le nuvole che vanno e vengono nel cielo. Quando le nuvole vanno via, il cielo resta nella sua integrità.

Ora, il cielo rappresenta la nostra consapevolezza; i pensieri un insieme di informazioni a cui, attraverso la consapevolezza, possiamo dare infiniti significati. E se possiamo osservare i nostri pensieri, allora essi rappresentano qualcosa di esterno a noi.

Se nel valutare un evento riusciamo a considerare che esistono diversi modi per interpretarlo, allora la rigidità mentale farà strada alla flessibilità; si diventa più ottimisti. Ovviamente “ottimista” non è colui che brinda di fronte ad un problema, perché tanto la situazione si risolverà a prescindere da tutto. Questo negherebbe il suo ruolo nella situazione. L’ottimista è colui che ha la capacità di spostare l’attenzione dal problema alla risoluzione del problema, evitando di dire cose distruttive su sé stesso e sull’evento; l’ottimista ha la certezza che il problema non durerà in eterno e che la situazione si risolverà per il meglio.

Martin Seligan, psicologo Statunitense, fu uno dei primi ad interessarsi agli aspetti che accomunano le persone ottimiste e alle caratteristiche che distinguono gli ottimisti dai pessimisti. Questi ultimi hanno la tendenza a vivere una difficoltà come l’ennesima tra gli ostacoli passati e futuri a cui sono (secondo loro) destinati.

Seligan parla delle tre “P” che caratterizzano la persona pessimista: Permanenza, Pervasività, Personalizzazione.

Ora facciamo un esempio per agganciarle ai diversi meccanismi di cui ci serviamo per interpretare la realtà.

Marco è tra i pochi dei suoi collaboratori che ha ricevuto un bonus di fine anno.
Se Marco è un uomo pessimista penserà che questo è solo un singolo evento. Non potrà di certo verificarsi nuovamente (permanenza); è impossibile che capiterà in altri ambiti della sua vita (pervasività); è successo perché la fortuna è girata da quelle parti e dunque non è dipeso dalle sue qualità, ma da un fattore esterno (personalizzazione).

Marco non crede di poter influenzare gli eventi della sua vita. Marco non ha più ricevuto bonus.

Se Marco è un uomo ottimista penserà, invece, che restare sintonizzato sulla frequenza della fortuna, gli permetterà di attrarre situazioni analoghe, che merita l’abbondanza e dunque abbondanza ha ottenuto e prosperità continuerà ad ottenere, che la vita è fantastica e che lui è un lavoratore capace e meritevole. Marco, ha un’ottima autostima. L’anno successivo ha ricevuto sia il bonus che la promozione.

Quale è la differenza tra i due “Marco”?

L’atteggiamento mentale.

È l’atteggiamento mentale ad influenzare ciò che accade. Non sono gli eventi a determinare le nostre emozioni, sono le nostre emozioni a determinare gli eventi.

Si tratta di prendere il controllo della situazione. Di scegliere intenzionalmente come reagire.

In uno dei suoi libri Wayne W. Dyer scrive “Se cresci, sei vivo. Se non cresci è come dire che sei morto”. Restare ancorati alle proprie certezze equivale a non crescere. Allora non rinunciare mai alla scoperta di te stesso e alla scoperta degli infiniti modi di “leggere” la vita.

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