Mi chiamo Luca, ho trentasette anni e ho vissuto molto del mio tempo alla finestra, nella stanza incrostata di buio, nel silenzio che assorda.
A circa tre anni mi è stata diagnosticata una malformazione congenita al cervello, per la quale prestissimo son cominciate le mie peripezie in giro per diversi ospedali, fino a quando, all’età di dieci anni, sono arrivato all’ospedale Carlo Besta di Milano dove ho fatto amicizia con l’abbandono.
Sessantadue giorni di ospedale, separato da mia mamma e da mio papà che potevano vedermi solo durante le ore di visita.
“Le ho già detto che non può restare, non si può!”.
“Ma dottore, io ho paura, non mi sembra di chiederle una cosa impossibile, ho soltanto bisogno della mia mamma, nient’altro!”.
“Senti Luca, non mi fare essere ripetitivo. Non si può, fattene una ragione. E poi sei grande, hai 37 anni, non puoi chiedermi della mamma su!”.
“Ma… dottore, io sono terrorizzato, ho solo 10 anni e voglio la mamma, voglio poter contare su di lei. Tra un po’ sarà buio ed io piangerò, lo sento. Sono un bimbo dottore, le sto chiedendo la mia mamma. Quest’ospedale mi terrorizza e… e poi tutti gli altri sono con le mamme!”.
“Guardati in giro bimbo cresciuto, non vedi? Sei forse cieco oltre ad essere un fottuto piagnucolone di quasi 37 anni? C’è puzzo di morte in ogni angolo di questo ospedale, i tuoi coinquilini, come dici tu accompagnati, forse non rivedranno la luce del mattino che verrà, e tu versi lacrime per la mamma? Vergognati, non hai nulla, è solo una stupidaggine la tua, e smettila di tirar l’occhio a destra e manca! Vergognati!”.
“Ha ragione dottore, mi perdoni, perdoni anche il mio occhio, non sarò più insistente, al calar del buio ci saranno le goccine a farmi compagnia, e domani sarà un nuovo giorno, avrò nuovamente tempo prima della paura. Ha ragione, non piangerò più, in fondo son grande, ho 10 anni, non ho bisogno della mamma. Mi perdoni, mi perdoni”.
Mi sentivo così in quel dialogo, dentro di me mi sentivo “bambino”, ma all’esterno avevo 37 anni.
Sessantadue giorni di ospedale, separato da mia mamma e da mio papà che potevano vedermi solo durante le ore di visita, son bastati per arrivare all’intervento chirurgico, per mezzo del quale, in parte, ho risolto il problema.
Ho vissuto un’infanzia difficile. Mio padre somigliava a quel dottore.
Poi, un’infanzia difficile, caratterizzata da un rapporto di contrasti con mio papà – figura identica a quella del dottore menzionato – mi ha accompagnato per tutto il tempo fino all’adolescenza, e poi ancora al periodo della maturità e della formazione universitaria.
A quel tempo conobbi Alessandra, una ragazza con la quale ho condiviso molte esperienze – siamo stati insieme undici lunghi anni -intanto la tristezza, e un elevato livello d’ansia, mi costringevano sempre più a vivere una “non vita”, fatta di pianti, di dolori, di vittimismo e di incomprensioni.
E la rabbia cresceva insieme alla disillusione e al senso di inadeguatezza in tutte le situazioni che mi si presentavano. Dolore e stanchezza in tutte le direzioni erano il mio abito preferito, lo indossavo al lavoro, un lavoro che mi ha intristito dal primo giorno, che non ho mai amato e che mi ha offerto delle sofferenze che ho trascinato per anni nelle relazioni, in famiglia e, ahimè, nel rapporto col mio partner.
Era tutto nero, è stato tutto nero, come se avessi deciso di indossare la lente che si usa per saldare. Nera!
E questo nero è durato molto, e nel nero c’erano le mie paure, le mie ansie, le mie insonnie, il mio caro senso di morte, e la rabbia, e la tristezza, e l’incapacità di cambiare.
Le ho provate tutte, dall’utilizzo di farmaci, agli svariati percorsi di psicoterapia che ho deciso di intraprendere senza mai giungere a una svolta.
Dopo diversi anni dalla chiusura del rapporto sentimentale con Alessandra – diversi anni di solitudine e difficoltà – ho incontrato Francesca, la mia attuale compagna: bellissimo, ero tornato con un piede nel campo della speranza, era tutto bello, una magia ci abbracciava e ci stringeva l’uno all’altro.
La riscoperta dell’amore fu per me un motivo di gioia immensa, Francesca aveva portato nella mia stanza la luce, e quel buio nel quale brancolavo da anni piano piano pareva ridimensionarsi, addirittura dissolversi.
Ma ecco che era lì, lontana ma non troppo, una nuvola gravida d’acqua, pronta a raggiungermi in questo momento di pace che Francesca stava portando.
La nuvola era, a nostra insaputa, quello che di lì a poco avrebbe preso il nome di Niccolò, nostro figlio: guerra e distruzione, in ogni direzione!
Sì, perché nella mia zona di comfort c’era guerra e distruzione, rabbia e depressione, tristezza e solitudine, da sempre. Ed eccola lì, la fine dell’idillio mi si presentava in tutto il suo splendore.
Tra me e Francesca si era interposto un piccolo esserino piagnucolante e fin da subito son cominciati i problemi, quelli seri. Ci siamo scoperti presto incapaci di gestire le emozioni che, una situazione di novità – e che novità! – porta con se, sempre.
E urla e pianti, e battaglie e guerre, e incomprensioni e accuse, e giudizio!
GIUDIZIO!!! Giudizio e tensioni che ci hanno portato alla chiusura totale, e alla distanza, nonostante la vita nuova, nonostante il piccolo.
Eravamo sulla via della rottura quando per puro caso – forse! – ho incontrato, in una situazione di indecenza mentale un vecchio amico di mia cognata e mio fratello, Raffaele. A lui voglio un mondo di bene.
Grazie a lui ho conosciuto Dario e il Metodo INCIMA.
A Dario è bastato poco per capire che la situazione in cui vertevo era una situazione assai difficile, per cui, organizzato un incontro, mi ha parlato del mondo INCIMA, della possibilità di cambiamento, della possibilità di vivere pace e amore.
In un primo momento la mia reazione è stata la classica dell’incredulo, del diffidente, di colui che non crede ai miracoli fino a che, allo specchio, mi son detto che probabilmente era il caso di provare… stavo raschiando il fondo, Francesca si apprestava a preparare le valigie e ad andare via, avrei perso anche il mio tanto odiato figlio.
“Ci provo” mi dissi, e m’incamminai.
Libera la tua Forza Interiore è un corso che si sviluppa in due finesettimana in una masseria bellissima nei pressi di Lecce, a contatto con la natura e lontano dalle distrazioni della vita che scorre.
I due coach – santi subito! – Cristina e Dario offrono, per mezzo di un intenso lavoro di teoria, e soprattutto tanta pratica, quelli che sono gli strumenti per il cambiamento, per la crescita. Lo fanno attraverso delle sessioni di coaching individuali che si ripetono per tutto il periodo.
Ho sperimentato l’importanza e la potenza delle meditazioni personalizzate, (Mind Re-Start), fiore all’occhiello del Metodo INCIMA, per mezzo delle quali ho potuto sperimentare la forza della calma, e mi sono immerso nella pace.
Ho così imparato ad amarmi, a riconoscere il mio vero valore, a non sentirmi più solo.
So che mi leggeranno delle persone che non conoscono il Metodo, non conoscono me e non conoscono bene Dario e Cristina: ecco, quello che mi preme “segnalarvi” circa le meditazioni, è il mio sorriso: io rido d’amore quando mi rilasso, e una sensazione di pace colorata mi avvolge.
È straordinario come la pratica possa condire di gioia le giornate e fornire uno stimolo sempre più grande per fare meglio.
Sono sul serio felice, è stata una fortuna incontrarvi, è stata una fortuna averci creduto.
Ecco, quando mi rilasso SORRIDO, quando mi sveglio SORRIDO, mi sento meglio e SORRIDO, sono meno stanco e SORRIDO, e quando penso che sarà sempre crescita… SORRIDO. Ebbene si, mi sento un SORRISO. E voi sorridete?
Lo dico a bassissima voce: inizio seriamente a concentrarmi sulla drastica riduzione del giudizio.
La mia vita è cambiata, la mia situazione in famiglia è cambiata, l’approccio a Francesca è cambiato, e l’odio per Niccolò si è trasformato in amore senza condizioni.
Ecco, l’amore ha salvato la mia famiglia, l’amore mi salva, e ogni nuovo mattino è vestito di gioia, di luce, quella luce che nella mia vita non c’era mai stata.
La luce ha vinto il buio della stanza, ha vinto le resistenze di Francesca, le mie, non sono più alla finestra.
Francesca è entusiasta del percorso che ho intrapreso – quanto prima sarà lei la novella studentessa -e ha impiegato poco tempo per innamorarsi dei coach e del Metodo.
Tutto è pace, ora.
Ora è così: sono nella pace, mi sento in pace, e sorrido. Ogni volta, ogni giorno sempre più, ogni nuovo minuto da quando ho incontrato il NUOVO. La mia vita si trasforma, istante dopo istante. Mi trasformo ed è straordinario. Sono presente e sorridente, mi commuovo di gioia per la bellezza della vita. Ho indossato nuove lenti, e chi le toglie più!
La dolcezza e la “verità” del coaching appena concluso ancora mi cullano, come suole fare una mamma col suo bimbo, e mi lascio trasportare, bimbo quale son tornato, da questa danza, da questo gioco meraviglioso, da tanta grazia.
GRAZIE, quanto è bello ringraziare e sorridere.
Luca Corso