Sono nato in un piccolo paese di provincia, l’ultimo della famiglia e l’ultimo di tutti i nipoti, sia dalla parte paterna che dalla parte materna. Diciamo il fanalino di coda.

Sono cresciuto sempre con persone più grandi di me che mi hanno insegnato a dimenticare troppo in fretta la mia infanzia. Qualsiasi cosa che dicessi e facessi non era mai abbastanza perché era pronto lì il giudizio di questa grande famiglia.
Mi vedevano diverso e mi sentivo diverso anche perché appartenevo ad un’altra generazione. Mi rendevo conto che più crescevo e più dovevo “pensare” prima di parlare, altrimenti non era facile uscirne moralmente illesi da una ipotetica conversazione.

Ho sempre avuto paura del giudizio e un gran bisogno di “evadere” dai condizionamenti

Capii che ero particolare quando scappai di casa all’età di 7 anni con un piccolo zaino in spalla e con dentro un cuscino che era più grande di me.

Mi misi in strada e cominciai a camminare, avevo deciso che avrei cambiato la mia vita.

La famiglia nella quale ero cresciuto fino ad allora non mi apparteneva, quindi ero pronto a vivere e fare quello che mi sentivo di fare ed essere libero senza giudizio.

Dopo alcuni minuti passai davanti ad una casa di amici di famiglia. Il caso volle che quella sera fossimo loro ospiti a cena.

Mi fermarono e mi accolsero senza farmi sentire il peso di aver fatto qualcosa che non dovevo.

Erano rilassati, non si percepivano tensioni e tutti erano gioiosi, ricordo che volevo stare da loro perché mi trovavo bene, e così fu.

Quella sera la mia famiglia venne a cena.

Mia madre mi bruciò con lo sguardo, mi disse: “Non ti permettere mai più! E a tuo padre non ho detto nulla altrimenti ti uccide!”
Naturalmente capii che non avevo rispettato il protocollo e che ero sano e salvo grazie a questi amici di famiglia.

Ma tutto sommato ero soddisfatto. In quei minuti di evasione avevo gettato le basi per quello che sarebbe accaduto in seguito.

Dopo qualche anno mio padre è venuto a mancare.

Ero ancora un bambino, ma da quel momento ho dovuto dimenticare di esserlo definitivamente.

Mio padre era un uomo molto serio, per lui la cosa più importante era il lavoro. D’altronde nella sua famiglia d’origine c’erano così tante “spaccature” a differenza della famiglia di mia madre, dove l’amore era alla base di ogni rapporto.

Con la mancanza di mio padre tutto cambiò.

Lui era l’unica fonte di guadagno della nostra famiglia con quattro figli tutti minorenni e mia madre che non aveva nessuna occupazione.

Infatti dovette da subito trovare un lavoro e noi tutti ridurre le esigenze che gravavano sull’economia familiare.

Si, come ho anticipato, ho dovuto dire addio alla mia infanzia e crescere in fretta.

Anche il mio ricordo della scuola non è positivo.

Non ricordo di essere mai stato incoraggiato o sostenuto. Avevo il terrore degli insegnanti anche perché se non rispondevi esattamente alle domande venivi punito anche fisicamente!

Ma al di là di questo, il mio profitto era scarso perché odiavo dover dimostrare qualcosa per essere riconosciuto dagli insegnanti. Oggi mi rendo conto che tutto quello che chiedevo loro era di essere valorizzato a prescindere dai risultati.

Per alcuni insegnanti era una vera e propria utopia… A volte accadeva il contrario: scaricavano le loro frustrazioni su noi piccoli indifesi.

Ho finalmente scoperto cosa non andava in me, nella mia vita.

Crescevo ma sentivo che c’era qualcosa che non andava in me, forse i capelli?

Forse gli occhi non erano azzurri, forse era il modo in cui mi vestivo?

Ho sempre temuto il giudizio altrui. Mi prendevano sempre in giro all’uscita da scuola perché avevo le orecchie a sventola e questo li disturbava in qualche modo. (Boh!)

Non riuscivo a difendermi, molti erano più grandi di me e mi facevano molti dispetti. Più crescevo e più mi nascondevo dagli altri e da me stesso.

Finalmente arrivano le superiori e lì con il nulla osta di mia madre e con l’aiuto di mia sorella ho scelto la scuola più vicina alle mie attitudini. La scuola in cui avrei potevo creare: la scuola d’arte.

Ricordo ancora il primo giorno. Ero con tutti questi nuovi compagni, mi guardavo intorno e mi dicevo che io in quella scuola non sarei rimasto a lungo, che mi avrebbero bocciato e che tutti gli altri erano sicuramente più bravi di me.

… quando la situazione si mostrò sorprendente.

Dai primi compiti in classe capii che ero veramente bravo e che quella scuola non risultava per niente faticosa, anzi mi stimolava.

I voti erano il doppio più alti di quelli che prendevo alle medie.

Ero felice dei miei risultati e mi sentivo più sicuro.

Il mio obiettivo era di terminare la scuola superiore e continuare gli studi, e così accadde!

Scelsi una grande città dove potevo fuggire dal piccolo paese ed essere libero, quindi decisi di andare a vivere da mia sorella a Roma e studiare architettura.

Per mantenere gli studi a Roma dovetti iniziare a lavorare come cameriere, dove capii che avevo un certo carisma. I clienti si affezionavano a me e li colpiva il mio sorriso sempre presente anche davanti ad errori in cucina. Il mio motto era positivissimo: “c’é sempre una soluzione”.

Trascorsi i miei anni accademici tra studio e lavoro.

A casa tornavo poco perché non mi sentivo a mio agio, quindi studiavo in giro nelle biblioteche oppure a casa di compagni di università.

Era sempre vivo dentro me il desiderio di scappare. Anche oltreoceano se necessario…

L’occasione non tardò ad arrivare: vinsi una borsa di studio per studiare un semestre negli Stati Uniti.

Una volta ritornato in Italia capii che la mia vita era cambiata perché avevo un nuovo modello di vita e la conoscenza di un’altra lingua. Fu emozionate iniziare a conoscere persone di tutto il mondo e andare a visitare nuovi amici. Quindi chiusi gli occhi e andai avanti nella preparazione della tesi trovando un alloggio consono per ultimare gli studi in serenità.

Sono diventato un architetto.

Il mondo del lavoro si presentò prestissimo.

A una settimana dalla laurea mi chiamarono in uno studio di progettazione, gli serviva un ragazzo che seguisse un progetto per un concorso.

Dopo la mia esperienza lavorativa a Roma sono rientrato dove ho avviato il mio studio.
Le cose sono andate più o meno bene. Dai risultati ho motivo di credere di essere un bravo architetto.

La gestione degli impegni professionali e personali è stata invece molto sfidante.

La “morbidezza” del mio carattere e quindi la mia carenza di leadership mi ha generato molto stress e nel tempo ho ceduto fisicamente.

Il mio corpo mi ha lanciato un messaggio di quelli ai quali è impossibile non dare ascolto.

Ho trascorso un po’ di giorni in ospedale all’oscuro della mia famiglia e degli affetti più cari perché mi vergognavo di dir loro che non stavo bene. Avevo paura del giudizio di tutti sul fatto che ero irresponsabile a non sapermi prendere cura di me stesso.

Questo campanello d’allarme è stato un vero dono!!

Se sono qui a scrivere è soprattutto per quello che mi è successo…Ho fatto yoga e mi sono rivolto ad un terapeuta. Dopo lievi miglioramenti sono ricaduto nei soliti errori, nelle solite situazioni, nei soliti malesseri: incapacità a gestire lo stress, ansia da prestazione, paura di non farcela, malessere psico-fisico.

La conseguenza? Ulteriori problemi fisici e analisi impazzite!

Ad un certo punto ho osservato con maggiore attenzione le dinamiche della mia vita.

Perché non riuscivo ad uscire fuori da queste problematiche e inoltre ero sempre lì che mi trovavo in continui problemi interpersonali?

Un giorno, mentre smanettavo su Facebook, trovai un invito che parlava di un incontro su come migliorare la propria vita e gestire al meglio i propri stati d’animo.

Il tema era allettante, quindi ho deciso di approfondire.
Era una conferenza di Dario.

Fu molto interessante perché orientata alla vita reale. Molto concreta e con un taglio scientifico. Chiesi un appuntamento per approfondire il Metodo in relazione alle mie esigenze e lo ottenni.

Dario mi spiegò in modo molto sintetico e pratico che cos’è il Metodo INCIMA e il modo in cui avrebbe potuto aiutarmi a risolvere le mie problematiche.

Questo metodo l’aveva costruito con la sua compagna Cristina.

Dall’inizio ebbi un senso di perplessità e domande continue: era il percorso che volevo fare? Avevo davvero bisogno di questo percorso?

Ad un certo punto, leggendo anche le testimonianze di altri partecipanti, ho “sentito” che fare questa esperienza mi avrebbe dato solo dei vantaggi e non avrebbe potuto darmi degli svantaggi in nessun modo. Quindi mi misi in gioco.

Quando ho conosciuto il Metodo INCIMA ero attanagliato dalla paura di non essere capace di riuscire.

Da un lato avevo una gran paura di dire quello che pensavo perché mi sentivo profondamente insicuro. Dall’altro ero consapevole che la vita mi stesse offrendo un’opportunità e percepivo di essere sulla strada giusta. Quello che mi mancava era un metodo e finalmente stava arrivando.

Combattutissimo tra lo scetticismo iniziale e la volontà di andare oltre e fidarmi, ho da subito gradito la modalità di insegnamento del Metodo, professionale e scientifico, step by step. Con un coach a tua disposizione che monitora l’intero processo di crescita.

Che ti dice se stai facendo bene e rinforza il comportamento e l’insegnamento oppure ti aiuta a cambiare quando stai commettendo degli errori. Un esercizio in particolare, una meditazione condotta magistralmente da Cristina ha prodotto in me la sensazione di aver liberato dei blocchi emozionali molto forti e da lì ho cominciato a credere nel cambiamento che desideravo.

Da allora è stato tutto magico!

L’energia che si è costruita con il gruppo è stata meravigliosa, era come sognare ad occhi aperti e le emozioni si susseguivano sempre di più, anche se vi era la consapevolezza di gestire sempre più le proprie paure e accettarle così come erano, senza fare resistenza, a volte anche perdonandole.

Il miglioramento dei miei stati d’animo era sempre più evidente, capivo che la pace interiore era sempre più forte e che gradualmente mi scoprivo sempre più meritevole di tutto quello che mi succedeva, vedendo tutto non come un problema ma come una grande opportunità.

Quale fosse il dono della vita è sempre stata la mia domanda ricorrente e ora. grazie al Metodo INCIMA, capisco che il dono è amare gli altri iniziando ad amare sé stessi.

Cari Dario e Cristina, vi sono grato per aver creduto in me. E spero che la mia esperienza possa aiutare altre persone a prendere la giusta decisione per la propria vita.

Claudio Colaci