Non me lo sarei mai aspettato. Per me è stata una doccia fredda, anzi gelata. Questa storia ti farà venire i brividi, lo so.
Anche se tratta da un film, purtroppo, è anche una delle numerose incredibili storie vere dell’Olocausto.
Siamo in piena deportazione ebrea verso i lager nazisti, era il 1943. Una volta scesi dal treno, a due genitori e un bambino di 4 o 5 anni, viene intimato di separarsi: padre da una parte, madre dall’altra, bimbo da un’altra ancora.
Puoi immaginare la disperazione dei genitori e del padre che, all’avvicinarsi di un ufficiale, tiene stretto a sé il bambino ripetendo: < è il mio bambino, è il mio bambino >.
L’ufficiale, senza esitare colpisce a morte il bambino con un colpo di pistola. Il bambino cade a terra. Il sangue, il mio, si gela completamente.
Si gela completamente in me che sto solo guardando un film.
Una vista inaspettata, una tragica sorpresa e il sentimento di una doccia gelida mi attraversa il corpo. Cerco di rimanere dissociato ma ormai l’angoscia mi attraversa completamente.
È un film forte. E io non riesco a rimanere insensibile a queste scene.
Da lì a qualche minuto l’attore Al Pacino descrive con dovizia di particolari il momento in cui durante la prigionia, ha subito l’incedere di un medico tedesco sul suo gracile corpo.
Più che di un momento, si tratta di ben 12 ore di tortura.
Al che lui afferma: < ho urlato dal dolore una sola volta, poi non più. Perché io ho la tempraaa > (con il vocione del doppiatore Italiano).
La tempra. Che termine potente!!! Non lo sentivo da tempo.
Mi fermo e cerco i dettagli sul significato di questa metafora. Sento una sensazione davvero potente.
La “tempra” è il processo attraverso il quale un determinato metallo, come ad esempio l’acciaio, aumenta la sua durezza e resistenza a trazione.
Consiste in un riscaldamento ad una determinata temperatura seguita da un raffreddamento rapido. Il processo di tempra modifica la struttura cristallina dei metalli.
Comprendo la metafora. Ci modifichiamo attraverso le docce gelide a cui ci sottopone la vita. Ci tempriamo attraverso le avversità, il dolore, le delusioni, i fallimenti, la sofferenza. Quante volte ti è successo?
Quante delusioni, quanti insuccessi, quanta sofferenza c’è stata finora nella tua vita?
All’età di 11 anni vivo la più atroce delle esperienze. Perdo un fratellino di 8 anni per effetto di una congestione in mare. Due minuti prima era accanto a me, giocavamo. Due minuti dopo corro disperato insieme ai miei genitori verso di lui.
Una doccia gelida si abbatte sulla mia esistenza e su quella di mio padre e mia madre.
Ma non è questo che ti tempra.
Per gli esseri umani, è diverso dai metalli.
Ognuno di noi ha una componente che rende ogni esperienza relativa: la percezione soggettiva e di conseguenza l’atteggiamento mentale in risposta a quello che accade.
Non tutti riescono a temprarsi quando subiscono delle docce gelide, alcuni si perdono d’animo, si sentono sconfitti, impotenti, devastati, finiti.
La tempra è una caratteristica intrinseca dell’atteggiamento mentale e dipende dalle convinzioni. Ti tempri se l’atteggiamento mentale ti porta a dare all’esperienza un significato funzionale alla tua crescita.
Ti deprimi e ti indebolisci se, al contrario, vivi l’esperienza con vittimismo.
Subire un’esperienza dolorosa non implica necessariamente essere vittima.
Perché ci sono persone che si sentono vittime per motivi stupidi e altre che assumono la piena responsabilità anche quando vivono esperienze oggettivamente significative.
Lo fanno interpretando gli eventi in modo funzionale ai propri obiettivi. Scelgono di trarre il meglio dalla sfida, dall’ostacolo, dall’avversità, dalla propria paura.
Chi subisce passivamente quello che gli accade o delega ad altre persone o eventi la responsabilità delle proprie esperienze, non fa altro che temprare il proprio vittimismo.
Ho tirato fuori questa mia esperienza successa nel 1980 perché la mia vita e quella della mia famiglia, da quel giorno è cambiata radicalmente. Si può immaginare.
Io ero un bambino, in un certo senso ho subito in più modi la tragicità dell’esperienza in sé: uno è stato la reazione di mia madre, basti pensare che mi ha costretto a tenere il bottoncino nero del lutto per tutte le scuole medie. Ho un ricordo indelebile della vergogna che provavo quando chi mi stava di fronte abbassava lo sguardo sul quel bottone che marchiava a fuoco il mio lutto. Per non parlare di chi poi mi faceva domande sull’accaduto.
Me ne andavo in giro pubblicizzando la mia sofferenza attraverso un bottone nero.
Quanto mi fa rabbia questa cosa!!!
Ecco, questa esperienza mi ha temprato nel modo sbagliato, perché mi ha “indurito” dentro. Ma questa durezza non mi ha fortificato. Ha solo amplificato la mia paura di soffrire. Ho imparato a difendermi. Ad evitare e a negare ogni possibile pericolo di sofferenza. Ho imparato a fuggire.
Quell’esperienza non mi ha temprato perché mi sono comportato da vittima.
Essendo un bambino, probabilmente avrei avuto bisogno di una cura particolare da parte degli adulti intorno a me. Ma così non è stato.
Ho cominciato a temprarmi in modo costruttivo quando, all’età di 15 anni, ho deciso di accettare una proposta di lavoro domenicale.
Mi è stato offerto di lavorare tutte le domeniche del periodo scolastico, a vendere enciclopedie negli hotel. Questo ha comportato responsabilità da parte mia: svegliarsi presto ogni santa domenica, rinunciare all’unico giorno libero con gli amici fino all’età di 20 anni.
Questo genere di sacrifici, se affrontato con atteggiamento responsabile, volto ad affrontare con coraggio e determinazione le proprie paure e la propria pigrizia, sommato alla responsabilità di dover produrre un risultato nel lavoro, porta a temprarsi.
Ho capito con l’esperienza che ci si tempra maggiormente e più velocemente quando non si hanno molte vie d’uscita e quando non hai alternative e sostegni su cui appoggiarti.
L’istinto di protezione che molti genitori, me compreso, hanno nei confronti dei propri figli spesso limita loro nell’opportunità di irrobustirsi.
Si cresce con i compiti e ci si tempra attraverso le esperienze più impegnative e le avversità. Proteggere in modo eccessivo i propri figli per evitargli delle cadute è spesso più dannoso delle stesse cadute.
La comodità non ti tempra. Ti indebolisce.
Ci si tempra con la disciplina, con le sfide, interrogandosi sui propri errori e affrontando ogni avversità con spirito risolutivo. Ci si tempra resistendo alla sofferenza. Ci si tempra attraverso la sofferenza. Ci si tempra attraverso la crescita e l’applicazione pratica. Ci si tempra con l’esperienza, non evitandola.
Quelle parole di Al Pacino nel film hanno risvegliato in me una ritrovata voglia di ritemprarmi ancora. Lo farò ponendomi nuovi obiettivi e accettando nuove sfide. Nel mio stile.
La vita è così bella che merita di essere vissuta.
Buona tempra a tutti.
Dario Perlangeli
La metafora più completa della vita. Oggi poter raccontare di come ho iniziato a non sentirmi più in credito con la vita per la perdita di mio padre all’età di 3 anni, mi ha comportato una spavalderia nel poter vivere in modo eccessivo, vittima nelle avversità e carnefice a convenienza. Oggi ho percepito l’assoluta possibilità di poter vedere oltre l’evento, oltre ogni possibile difficoltà o impedimento, oggi posso creare ed immaginare tutto per sopportare le cadute che la vita può riservarmi, perché così imparo, apprendo e mi evolvo con determinazione, Focus e colmo di amore per la mia esistenza.